DE GIOVANNI LUIGI a FIRENZE

DE GIOVANNI LUIGI a FIRENZE
La galleria Mentana di Firenze, in prossimità delle feste natalizie, come ogni anno, il giorno 16 dicembre 2023 dalle ore 17,00 alle ore 20.00 terrà l’opening di “Orizzonti Contigui” Rassegna di Artisti Internazionali che animerà lo spazio sito nel cuore di Firenze, in via della Mosca, 5. Orizzonti Contigui Attraverso le opere in mostra è possibile immergersi nelle descrizioni di pensieri, idee e sensazioni che danno luogo al mondo degli artisti presenti che, nella realizzazione delle opere, hanno trovano l’occasione per avventurarsi nelle sfaccettature della natura fatta di paesaggi e di atmosfere, per ritrovarsi nel mondo della fantasia o nelle problematiche dei percorsi dell’uomo, fino ad attraversare riflessioni o sogni che muovono dall’Io o dalla religiosità. Colori, pennellata e percorsi capaci di trasmettere il mondo della bellezza e delle contraddizioni dell’uomo che è sempre alla ricerca di quei valori che danno senso alle opere di questa bellissima rassegna artistica. L’evento sarà anche occasione per scambiarci gli Auguri di Natale. Artisti presenti in Mostra: Eva Breitfuss - Audrey Traini - Lis Engel – Giancarlo Cerri – Aldehy – Bianca Vivarelli – Krasimir S. Marinov – Eileen Herres – Valerio Tanini – Tina Hliblom-thibblin - Camilla Vavik Pedersen – Patrizia Pepe – Luigi De Giovanni – Salvatore Magazzini – Anna Lapshinova Galleria d’Arte Mentana Arte Moderna e Contemporanea Via della Mosca, 5r
50122 Firenze (Italia)
Telefono/Fax: +39 055 211985
Cellulare: +39 335 1207156
Email: galleriamentana@galleriamentana.it
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venerdì 17 aprile 2015

Mentana in Florence e Rosario Bellante - Galleria d'Arte Mentana

Mentana in Florence e Rosario Bellante - Galleria d'Arte Mentana



GALLERIA D'ARTE MENTANA FIRENZE                                                             Piazza Mentana, 2/3R                                  galleriamentana@galleriamentana.it. - Tel 055 211985 cell. 335 1207156 http://www.galleriamentana.it/

Presenta: DUE EVENTI IN PARALLELO                                                           A cura della Direttrice Artistica Giovanna Laura Adreani
Mostra premio – “Mentana in Florence”
Mostra Premio Pittura - Scultura – Fotografia                                           Vernissage: sabato 18 aprile ore 18.00
                                                                                                                           Artisti: Ghenadie Popic, Mark Petrasso, Lucilla Labianca, Ilaria Turco, Enrico Garoia, Enrico Napoletano, Silvia Maccacaro, Caroggi, Giulia Riva, Antonio Lucarelli, Monia Pentolini, Moirym, Mauro Piccoli, Robesol, Duccio Degl’Innocenti.
“Saletta Mentana”     Mostra personale di Rosario Bellante      Vernissage: sabato 18 aprile ore 18.00
Bellante è un colorista dalle tonalità mediterranee e dalla pennellata che procede senza indugio. Da molti anni è rappresentato, nel modo migliore, dalla “Mentana” di Firenze e in quest’esposizione personale, presenta dipinti che ripercorrono i temi a lui cari: opere che hanno come filo conduttore il paesaggio visto nel momento più felice delle sue fasi. Per l’artista la natura è matrice, che ispira i suoi stati d’animo pittorici che diventano armonie visive di panorami conosciuti e dell’inconscio, che riportano alla sua amata Sicilia. Le opere di Bellante sono animate da chiarori, dove le vibrazioni cromatiche sono capaci di coinvolgere sensibilmente lo spettatore che, inoltrandosi negli scorci descritti, si ritrova a esplorare la sfera emozionale dell’artista. La dinamicità, descritta delle masse pittoriche, è esaltata dalle gradazioni di luce che, nelle forme delineate da pacificanti colori ed equilibrate pennellate, sembrano volersi svelare in contrasti di segni e di toni di rossi, di gialli e di verdi dei primi piani: sfumature di tinte che declinano nel canto del paesaggio e dell’Io dell’artista. La sua osservazione della natura si fa analisi che coglie mille particolari che, prepotentemente, vogliono emergere dal groviglio di arbusti per fermarsi nelle sue primavere dipinte, che ricercano gioia e speranza.
Un concento di colori vivaci si accorda nelle radure pacate, smorzandosi fra le dune dove i tocchi di chiaro fanno avvertire fragranze di mare e di vita di fiori di sabbia. Nella solitudine del paesaggio c’è un animo investito da pensieri profondi, che, in un monologo interiore, tenta di sfuggire al tempo dalle ombre incombenti che si addensano in uno sfondo di nuvole e che muovono verso la malinconia dell’autunno.                      Federica Murgia

ORARI: 11:00-13:00- 16:00-19:30 Domenica e lunedì mattina chiuso


martedì 10 marzo 2015

Contempor-Arte

Contempor-Arte - De Giovanni Luigi pittore contemporaneo - Creazioni d'arte - CagliariLa Galleria d’arte Mentana di
Firenze

P.zza Mentana 2/3 r - 50122
(FIRENZE)
Tel. 055.211985 – Fax.
055.2697769





Presenta:
Contempor-Arte
Rassegna internazionale
dedicata alle arti visive contemporanee
a cura della direttrice
artistica: Giovanna Laura Adreani

"Contempor-Arte" è
un’importante rassegna di arti visive che ha come obiettivo l’incontro di
artisti provenienti da varie nazioni che pur partendo da mondi diversi si
confrontano attraverso le proprie opere creando un dialogo sulla
contemporaneità e una comunicazione interiore.

La Mostra sarà presentata dal
critico e storico dell’arte Daniela Pronesti

Vernissage- Sabato 28 Marzo 2015 - ore 18.00

sarà visitabile fino al 15
aprile 2015

GONZAlO SANChEZ- USA
MARTA MOTTI - ITALIA
lAuRA CORTI - ITALIA/FRANCIA
MAuRO PICCOlI- ITALIA
EDuARDO ROCA "ChOCO" - CubA
TONINO GIAMPA' - ITALIA
DORIS BRODER JACOB- svIzzeRA
JESSE - FRANCIA
MARION DuSChlETTA- svIzzeRA
FREYA KAZEMI - IRAN/CANADA
DANIElE VANNuCCI - ITALIA

Orario: 11.00/13.00 - 16.30/19.30
- Domenica e lunedì mattina chiuso
Sabato mattina su appuntamento

ProSSiMieVeNti:
Sabato 18 aprile 2015 Mostra
Premio Mentana in Florence - Vernissage ore 18.00
Sabato 16 Maggio 2015 rassegna
d’arte contemporanea Spazi Aperti – vernissage ore 18,00



lunedì 12 gennaio 2015

Natale a Specchia: sensazioni di una spettatrice

Home - De Giovanni Luigi pittore contemporaneo - Creazioni d'arte - Cagliari


Natale a Specchia: sensazioni di una spettatrice







Il Comune di Specchia, come ogni anno, ha organizzato con
grande sensibilità il “Natale nel Borgo”, mirando, oltre che a un impegno di
rinnovata fede, alla promozione culturale e turistica del paese, per questo ha
accolto le proposte che gli venivano presentate dalle associazioni.
La sera del 24 dicembre 2014, com’è ormai consuetudine,
nella piazza del Popolo nel grandissimo braciere, si è accesa la catasta di
legna, per dare il via alla “focaredda”, antica usanza che, metaforicamente,
penso intendesse scaldare il Bambinello del presepe e realmente servisse alla
povera gente per vincere il freddo sferzante della piazza e per portare a casa
un po’ di brace per dare calore non solo di rinnovata festa.
Anche quest’anno le fiamme si sono levate altissime
accompagnate da uno scoppiettio che manda scintille che s’innalzano in cielo
come stelle. Dallo spigolo del palazzo Risolo si ha modo di notare che le
fiamme si dividono in due alte lingue che lasciano intravvedere il campanile
della chiesa che, con l’irregolarità e il tremolio delle luci del fuoco, sa di
magico. Sì. Il clima è proprio natalizio.
Le persone che affollano la piazza si scaldano e mangiano le
gustosissime “pittule”, preparate negli stand - cucina.
Nel castello già dal giorno 21 dicembre la mostra “Natale
d’Artista” rappresenta l’ideale concezione della Natività con le “Personali in
collettiva” di: Ute Bruno - Luigi De
Giovanni - Laura Petracca - Roberto Russo - Ada Scupola - Giovanni Scupola.
Specchia pure quest’anno ha interpretato il Natale con
grande prova di fede e sacrificio, i presepi si sono moltiplicati. Infatti,
oltre al “Presepe vivente” che è quello che suscita maggiore interesse da parte
dei cittadini e dei turisti, ne sono stati approntati nelle chiese, nel
castello e persino nei bar.
Molto significativi,
per la purezza dei sentimenti racchiusi nella poesia dell’infanzia, sono i
disegni fatti dai bambini seguiti, nei lavori, da Suor Rita dell’ordine delle
Suore Ravasco. I fogli, organizzati e allestiti in pannelli dall’
Arch.
Stefania Branca, sono capaci di raccontare il vero senso della fede e dei sogni
di pace e amore dei bambini di tutto il mondo.
Il Presepe dei
giovani dell'Associazione “Bambin Gesù”
ha anticipato la festa con una ricostruzione di ambiente quasi boschivo che,
subito, malinconicamente, mi ha riportato a Seulo, il mio paese sui monti del
Massiccio del Gennargentu, ai suoi boschi e al muschio che veniva usato in
grande quantità nel presepe della Chiesa della Beata Vergine. Istintivamente,
ho subito unito i ricordi dei miei sogni imbiancati da neve vera che, quasi per
miracolo, cadeva, a fiocchi copiosi, illuminando ben oltre l’orizzonte
nell’inverno di Barbagia, rendendo il paese stesso presepe. Ricordo che molto
in anticipo si andava a raccogliere il muschio, spesso ricco di ombelichi di
venere, profumato di bosco, le cortecce che si staccavano dai vecchi alberi, i
rami di agrifoglio ricchi di drupe rosse e i bellissimi rami di tasso arrossati
dagli arilli che, benché fronde d’albero della morte, riuscivano a colorare di
gioia il mio Natale d’allora.
Le statuine di Maria e Giuseppe e del Bambinello erano
bellissime. Non mancavano i pastori con i loro armenti, i greggi che
ricordavano i gusti di tempi antichi vissuti con orgoglio anche oggi. Il mio
presepe dell’anima, quello di Seulo, era povero ma ricco di poesia e tradizione
conservata con amore e fede.
Ho avuto modo di notare che i giovani si sono impegnati in
questi anni per conservare con cura la memoria del passato e rinnovare un rito
di fede e di calore di famiglia.
Forse per nostalgia non posso far a meno di ricordare Seulo
dove lo scorso anno venne allestito un presepe all’aperto, povero come
scenografia ma ricchissimo come contenuti. La capanna era accuratamente isolata
dalle intemperie, tenuto conto che lì non mancano neve e ghiaccio. La
mangiatoia riempita di paglia, fu subito adocchiata da un bel gattino dorato
molto infreddolito, che la scelse come giaciglio prima che vi venisse sistemato
il bambinello. L’evento diventò subito virale, attrazione turistica per le tante
foto fatte al gattino e per la loro diffusione sui media, venne salutato con
gioia, dai seulesi molto divertiti, e come un bel segno dall’alto: bisogna
sempre curarsi di chi sente freddo e di chi ha fame, di chi soffre o di chi non
può manifestare nessun segno di fede cristiana. È vero il mio paese innevato,
anche con il gatto nella mangiatoia o le goliardie giovanili, sa proprio di
Natale.
Molto interessante e ricco di spiritualità ho trovato il presepe
realizzato dai ragazzi di Ruffano, illuminato dai “soliti” fari prestati da
Tommaso Vincenti, che con pochi mezzi e molto amore hanno creato statuine in
carta pesta vestite con tessuti di recupero, cielo in raso blu e stelle in
cotton fioc. È stato bellissimo vederli emozionati e impegnati nel fare
qualcosa che dava loro gioia e a noi il senso del Natale vissuto nel modo
migliore.
Un suggestivo presepe, preparato dai ragazzi dell’ACR nella
Chiesa Madre, mostra l’attaccamento, delle persone del territorio, all’antica
tradizione della coltivazione dell’ulivo e della produzione dell’olio. Questi
ragazzi usando gomitoli di corda hanno realizzato tutti i personaggi, comprese
le pecorelle. Il tetto è stato fatto con i fiscoli (intrecci di corda, che
servivano nell’antica produzione dell’olio d’oliva) e tutta la scenografia,
inclusi gli sfondi e le quinte, con dei deliziosi “cannizzi” (intrecci di canne
che servivano per seccare al sole fichi, pomodori e tanti altri prodotti della
terra) mentre i sacchi di juta costruivano colline e pianure di fatica.
Nel Presepe della chiesa di Sant’Antonio non manca nessun
personaggio. Costruito con una cura assoluta, ha voluto rappresentare i climi
illuminati da luci di stelle. Elogia il lavoro, la terra, non sempre rispettata,
che ci dona copiosi frutti. Percorsi di pietra conducono alla salvezza divina.
Fra castelli merlati il bambinello nasce nella rustica stalla, dalla porta
sconnessa aperta, con il calore dell’amore divino. È un presepe ricco di
personaggi che si affannano nelle fatiche della vita. È fatto con cura, non
mancano i ruscelli, le montagne percorse da impervi e tortuosi tratturi, gli
anfratti segreti, né la sabbia ricordo di terre d’oriente. Anche qui mi
sovviene Seulo, i suoi scoscesi sassosi sentieri allietati dai rintocchi dei
campanacci, che suonano note diverse per distinguere i greggi o gli armenti
richiamati dai fischi dei pastori che spesso si distraggono zufolando.
Nel bar “Le mille voglie” ha preso forma il presepe del
territorio salentino dove pagliare, con diverse caratteristiche, e muretti a
secco creano l’atmosfera giusta. Qui è stato curato, soprattutto la
verosimiglianza con il Salento. Fra i muretti e le pietraie che lasciano spazio
al verde della vegetazione salentina c’è il muschio con alcuni ombelichi di
venere, per me sempre “cappeddus de muru” che tanto mi piacciono e che da
bambina usavo come piatti per la bambola. La stalla con la sacra famiglia è una
sorta di grotta in parte diroccata e per questo molto efficace nella
rappresentazione della Natività. Non mancano gli ulivi e l’aia circolare, dove
un somarello è impegnato nella trebbiatura. Si è un presepe calato in altri
tempi ma efficace nella rappresentazione delle intenzioni.
Sicuramente qui a Specchia sono stati allestiti molti altri
presepi, soprattutto nelle case, ma questi sono quelli aperti al pubblico che
io ho potuto visitare e apprezzare.
Il clou delle
manifestazioni del Natale è il “Presepe Vivente”
curato dall’Associazione Culturale Sportiva “Eugenia
Ravasco” Onlus insieme al Comune di Specchia e alla Parrocchia “Presentazione
della Vergine Maria” di Specchia. Il compito più impegnativo è, comunque,
dell’Associazione Culturale Sportiva Eugenia Ravasco che per tempo studia e
prepara le suggestioni del Presepe scegliendo il percorso, curando
l’allestimento delle scene e la rappresentazione
. Impegno, quest’anno,
triplicato a causa delle bravate di alcune persone che hanno pensato bene di
creare disagio rovinando alcune opere di scenografia. Ciò nonostante il giorno
25 dicembre alle ore 17 tutto è pronto.
Nella piazza antistante alla porta di Betlemme lo svolgersi
del rituale prevede che debbano prendere la parola le autorità civili e
religiose, per i discorsi inaugurali.
A parte un lieve ritardo del vescovo, che sicuramente ha
avuto il suo bel daffare celebrando l'inizio dei percorsi di più Presepi nelle
parrocchie da lui amministrate, tutto è proceduto senza intoppi.
Dalla via Roma si sente l’imperio dei comandi impartiti dal
comandante della legione romana che si appresta all’ingresso in Betlemme.
Sfilano eretti, alcuni con le armature che sembrano a placche, l’elmo che
contribuisce a renderli ancora più minacciosi, lo scudo convesso tenuto con
forza, il giavellotto e il gladio. Altri con lo scudo, probabilmente in duro
cuoio, procedono, inquadrati e precisi nei movimenti, eseguendo gli ordini con accuratezza.
Un soldato tiene al guinzaglio un bellissimo cane che incede con il capo chino,
non ha nulla di bellicoso ma ricorda come dovevano essere terribili i romani
nelle operazioni di conquista. Alcuni soldati battono su dei tamburi dando
ritmo alla formazione. Vestite con tuniche e mantelli seguono le matrone dalle
acconciature elaborate, le belle ragazze, i giovani e i bambini che daranno
significato alla ricostruzione del tempo.
Nella piazza degli Artisti i figuranti si apprestano a
disporsi nelle postazioni assegnate. C’è freddo ma tutti sembrano non sentirlo.
Il gruppo degli “Agorà canti antichi” è pronto per ricordare l’antica musica
salentina. Oltrepasso la porta che porta a Betlemme e lo scenario che mi
attende è emozionante. Tanti i piccoli “romani” attizzano i fuochi e si
scaldano. Sui tavoli piatti e scodelle sembra che attendano i commensali. Nella
casa del censimento predomina il colore rosso, gli arredamenti sono importanti.
Noto che vi sono delle armature, su trespoli o poggiate su bauli da viaggio,
pronte a essere indossate: si ha proprio l’idea d’essere in un luogo di
frontiera. Si fa la fila per essere censiti. Anch’io non mi sottraggo al dovere
e mi appresto a scrivere i miei dati. Il fatto d’essere ospite in questo bel
Borgo non mi fa sentire transfuga poiché ho la libertà di tornare a casa quando
lo desidero. Ben diversa è la situazione dei clandestini che muoiono a migliaia
nel Mediterraneo inseguendo un sogno di pace e benessere e, purtroppo, spesso
finiscono in ingranaggi della disonestà. Dopo mi avvio all’ingresso vero e
proprio, dove è gradita una piccolissima offerta, utile a predisporre il minimo
indispensabile per la prossima edizione. Giungo alla bottega del “conzalimmi”,
professione seppellita dal consumismo, intento, con una sorta di trapano, a far
dei buchi che gli serviranno a rimettere insieme i pezzi di un piatto rotto.
Questa bottega, priva d’ogni segno di benessere, mi fa pensare al nostro tempo
e a quanti piatti, scodelle finiscono nella spazzatura in un anno, per
lamentarci poi del costo dello smaltimento dei rifiuti. È proprio vero noi non
pensiamo mai al poco che serviva in passato per vivere felici!
“Ecco la Vergine che concepisce e dà alla luce un figlio e
gli porrà il nome di Emmanuele” (Isaia 7.14). - Recita così il cartello
all’ingresso della scena dell’Annunciazione. Mi fa subito pensare ai tempi del
fatto, ai costumi d’allora e alla giovanissima e immensa Maria che assunse la
sua missione biblica scevra dai trastulli della sua età. Mentalmente faccio un
paragone con la vita d’oggi soprattutto con la libertà che hanno giovani
occidentali, incapaci di sacrifici e rinunce. Penso pure alla prigione, non
solo fisica, che, ancora oggi, vivono le donne che in certe società non hanno
diritti e vengono uccise solo per un sospetto di “disonore”, che è, purtroppo,
il loro dolore d’esistere. Lo spazio dell’Annunciazione complessivamente mi è
piaciuto tantissimo sia per l’essenzialità dell’ambiente sia per l’interpretazione
di Maria inginocchiata e degli angioletti dalle mani giunte: tutto lascia
pensare alla spiritualità del fatto raccontato.
Mi avvio alla sinagoga, dove i sacerdoti sono intenti alle
letture. Delle piccole candele poggiate sul tavolo, raccontano con efficacia la
ritualità, anche in assenza del candelabro a sette braccia simbolo di maggiore
opulenza.
Mi perdo nel mondo delle tessitrici, delle ricamatrici e del
filet. Qui noto i licci, le rocche, i tessuti di vari colori legati alla
tradizione, le matasse, gli arcolai e un bellissimo telaio che mentalmente lego
alla sala della tessitura dei miei nonni. Ricamatrici intagliano i tessuti con
le loro creazioni, mentre una esegue la rete da fissare sul telaio da filet:
m'incanto e chiedo a tutte spiegazioni ammirando i manufatti meravigliosi. I
guanti fatti con il filet attirano particolarmente la mia attenzione. Penso
come mai mia sorella Cate, professoressa in pensione e maestra nei ricami se
pur ancora apprendista nel punto margarita, non ne abbia mai fatto un paio
così! Questo mi fa pensare che tutti i saperi antichi bisogna conservarli con
amore e tramandarli. Noto una paziente anziana che avvolge il filo come se
avvolgesse i ricordi di una vita. La dolcezza meravigliosa che scaturisce da
lei fa dimenticare i segni di sacrifici e di rinunce evidenti nelle tracce del
tempo delle sue mani e del suo viso.
Nell’antico "lavaturu" di pietra, pila, si
affanna, con le mani immerse nell’acqua gelida, la lavandaia mentre nel
"cofanu", lavatrice d’altri tempi, si fa la lisciva. Con il ferro a
carbone la stiratrice stira i panni tenuti con cura in un cesto.  Ricordo il passato, le madri della mia
zona che portavano in equilibrio in testa il catino con i panni per andare ai
ruscelli dove, nelle limpide piscine, facevano il bucato cantando le canzoni in
sardo; come se lavare fosse una gioia senza fatica. Sciorinavano poi il bucato
nei cespugli profumati e tornavano a casa portando tracce di fiori e arbusti.
Nelle giornate di sole invernali si recavano nelle sorgenti tiepide e stendevano
i panni negli spogli cespugli per farli gocciolare poi venivano disposti vicino
al cammino: avverto ancora l’odore di fumo camuffato poi con mazzi di lavanda.
Le giovani mamme in gruppo, spesso portavano in braccio i bimbi più piccoli,
che avrebbero dormito dentro il catino più grande al suono dello scorrere
dell’acqua, mentre i più grandi trotterellavano al loro fianco facendo un mare
di domande o cantando a gran voce.
Al lume di candela, in un’atmosfera molto colorata, alcune adolescenti
danno forma a presine e antiche bamboline. Ho rivisto le mie nipoti che ai
vestiti di bambola mettevano bottoni grandi che sbordavano dal corpo stesso
delle bambole!
Gli scribi, i sapienti dell’antichità, stilano o leggono i
loro documenti scritti su rotoli o tavolette. La loro precisione recitativa non
è stata distratta, dai rumori della via affollata, neanche per un attimo.
Un ambiente che mi è molto familiare è quello della
lavorazione del miele. La smielatura non era un problema per i miei genitori
che, armati di soffietto e coltello speciale, allontanavano le api con
l’intenso fumo, prodotto da arbusti idonei. Mi vengono in mente i favi
grondanti di miele profumato e la mia curiosità d’assaggiarlo, per scoprirne il
gusto, che mi portava subito a prenderne un pezzo masticandolo sino a che non
rimaneva che la cera: primordio delle mie gomme da masticare, il ricordo mi fa
sentire ancora il sapore. Amavo e amo moltissimo, soprattutto, il miele amaro!
Nella penombra m’imbatto con le pecorelle chiuse in un
recinto che consente d’osservarle da vicino. Alcuni bimbi attratti dalla loro
presenza cercano di accarezzarle ma loro intimorite da tanto via vai
indietreggiano nascondendosi ritmicamente una dietro all’altra.
Qui, come sempre, non mancano gli esperti della lavorazione
della pietra.
Sono attratta dalla lavorazione dei filati, dove alcune
persone, vicine al fuoco, districano la lana contenuta in sacchi di juta
grezza, altre la pettinano. Poggiate, noto delle conocchie ma non vedo
filatrici. A Seulo la mia prozia Totonia avrebbe completato l’opera con la
filatura che era il suo passatempo preferito e che continuava a fare anche
mentre ci raccontava le sue storie.
Non posso rimanere indifferente davanti alle creazioni con i
piccoli rotoli di carta e sono sorpresa dalla maestria con cui vengono fatti,
in carta pesta, i presepi con tutti i personaggi e le statuine. Mi sorprende
“il mondo tra le mani” grande opera sempre in cartapesta.
Nella corte che porta al forno molta legna attende d’essere
bruciata per la preparazione di pane e dolci. Entro e mi ritrovo in un ambiente
familiare, i profumi sono simili a quelli che avvertivo dai nonni nella mia
infanzia. Il fornaio attizza il fuoco mentre sul tavolo sono ormai lievitate le
palline di pasta che daranno luogo alle gustosissime "frise" locali.
Nella madia due ragazze impastano con cura la farina unita
all’acqua e al lievito. Più avanti è pronto l’impasto per le
"pittule", evidente anche nelle maniche di solerti lavoranti.
La macinatura del grano è fatta con un’antica macina in
pietra, manovrata da una giovane signora. La farina fuoriesce da una caditoia e
finisce dentro un sacco bianco a trame strette. La scena è d’altri tempi! Con
setacci e crivelli, dando dei piccoli colpi, alcune bimbe, separano la farina.
Tutto sa d’antico! Questa figurazione è di una poesia malinconica struggente.
Qui, mentalmente, riesco a sistemare i genitori, i nonni, la bisnonna: noi
piccoli, fratelli e cugini, che avevamo sempre in qualche modo le mani nella
farina o nel grano che scivolando dai nostri pugni chiusi cadeva a fontana nei
cestini lasciandoci una sensazione gradevolissima, come penso abbia il bimbo
che cerne il grano nella scena. Ci veniva sempre dato un po’ d’impasto per le
nostre pagnotte creative che cercavano d’imitare “su pani pintau” delle feste.
La casa di Elisabetta, dove è ricevuta Maria, è verosimile
per l’arredamento e per la ricostruzione coerente e benché povera sa di
elegante. Un tavolo, segnato da un uso continuo che si perde oltre il ricordo,
esalta suppellettili senza orpelli. L’essenzialità mi colpisce, come gli
strumenti da lavoro che mettono a nudo le privazioni e il loro passaggio da
generazione in generazioni. Le figuranti sono molto calate nelle parti tanto
che riescono a trasmettere l’idea di una visita molto gradita.
Spostandomi mi ritrovo in una bottega, dove sono esposti i
manufatti in pietra.
Arrivo dal bottaio “conzautti” e mi rendo conto che è
proprio ben rappresentato. Infatti, l’abbigliamento e l’aspetto fisico lo
rendono molto appropriato. Nella penombra appare sorridente come può essere una
persona che vive fra le botti e pensa a quando saranno riempite dal buon vino
salentino.
Ecco un’altra staccionata con le pecorelle che consumano il
pasto serale. Stranamente qui non sono attorniate dai bimbi curiosi!
Nella locanda c’è un grande affollamento di buongustai che
assaggiano i gustosissimi prodotti locali. Più in là i canestrini, per
gocciolare, sono disposti in fila e dentro vi viene versata la ricotta ancora
calda. In un’altra stanza trovo le massaie che preparano orecchiette,
minchiareddi e sagne torte. In molti si allontanano con sporte ricolme,
pregustando i buoni prodotti che cucineranno nelle loro case.
Noto la presenza di antichi strumenti, usati dal maestro con
competenza, nella falegnameria: anche qui la scena è curata nei minimi
dettagli.
Mi stupisce l’intreccio che dà luogo ai cestini. All’opera
una giovane signora che appare molto esperta e precisa. In questo laboratorio,
che mi suggerisce tempi passati, sono colpita da una piccola borsa con
coperchio, che, stranamente, somiglia al cestino per la merenda che usavo
quando andavo all’asilo.
Come si conviene per un grande evento la sala del matrimonio
di Maria e Giuseppe ha un’aria di solennità ma conserva un’elegante sobrietà:
nulla è eccessivo. Chi è seduto al desco si contenta di poche cose quali
stoviglie in terracotta, ampolle in metallo un po’ di pane: tutto è giusto e
non stride con la rappresentazione. Sembra proprio che si sia seguita la
scritta che si trova all’ingresso.
“Il matrimonio tra Maria e Giuseppe dovette essere molto semplice.
Quando la famiglia di Maria raggiunse un accordo con Giuseppe si celebrò lo
sposalizio. Trascorso un certo tempo, Giuseppe condusse Maria nella propria
casa secondo la legge di Mosè”.
Incontra dei meravigliosi angioletti con la fascia del
“Gloria”. Mi soffermo. Sono così belli da suscitare enorme emozione.
I pastorelli, con le loro gabbiette, sostano o muovano quasi
seguendo il ritmo delle zampogne suonate dai pastori. Qui la musica dà la
sensazione di trovarsi realmente nel cuore della Natività: nella mia terra
accompagnata dalle melodie delle “Launeddas”.
I richiami del mercato sono udibili da lontano. Canestri di
profumato pane, cesti di frutta e verdura attirano i visitatori che fanno
capannello.
Intorno ardono i fuochi dove, spesso, si fermano anche i
visitatori per scaldarsi.
Incontro il recinto con le oche che non sembrano curarsi del
traffico di persone.
Le strade, del rinnovato percorso, sono illuminate da
piccole lanterne a candela, molto funzionali, in alcune zone ci sono dei lumini
dentro ciotole o dei fuochi che rendono il clima incantevole.
Dei battiti ritmici ci annunciano che nei pressi c’è un
fabbro. Osservo come si affanna pestando sull’incudine mentre con il soffietto
dà aria al fuoco per rendere incandescente il metallo da forgiare. Vedo che
l’ambiente è rustico e tutti gli utensili sono manuali e risalgono al periodo
in cui tutto era costruito manualmente e ritento prezioso.
Artigiani e artisti realizzano con diverse tecniche i loro
manufatti creando curiosità fra i visitatori avvezzi solo agli oggetti finiti.
Le caldarroste e il loro profumo invitante mi riportano alla
mia casa natale dove d’inverno, quasi tutte le sere, si facevano saltare le
castagne in una padella con i buchi, era un rito che scaldava le mani e ci
lasciava in bocca un gusto indescrivibile. Ciò che mi piaceva maggiormente
erano i racconti dei genitori e dei nonni che così ci intrattenevano senza
farci annoiare e senza televisore.
Non posso passare dritta davanti alla bottega dei panari e
dei cannizzi. Le creazioni dei maestri sono proprio belle e penso, dopo averne
immaginato l’uso, che nelle case moderne potrebbero essere esteticamente
interessanti come porta oggetti o per mille altre funzioni.
Fra le ricamatrici, che non perdono tempo, trovo tutta il fascino
e l’eleganza delle cose fatte a mano. Qui macramè, punto antico, chiacchierino,
uncinetto e tombolo non sono un mistero, sicuramente le mie sorelle ci
avrebbero passato l’intera serata. Io, benché apprezzi tutti i ricami, quando
mi trovo in mano l’imparaticcio, ricordo il buco che feci cercando d’imparare
il punto turco: un disastro! 
Nel banchetto del mercato all’aperto è in bella mostra tanta
frutta e verdura “casalina” che non passa inosservata alle massaie curiose.
Il calzolaio sta in una stanzetta spoglia, con lui un
apprendista molto concentrato nell’imparare. Le scarpe da riparare sono proprio
poche, perché poche erano in altri tempi quando moltissime persone avevano
trasformato la pelle dei piedi in suole e tomaie.
Che fila davanti al pane "rostutu"! Basta proprio
poco per riscoprire il gusto degli antichi sapori!
Rincontro gli “Agorà canti antichi” in un momento di
rilassamento. Hanno messo a riposo i tamburelli e la voce. Sono fra
"cannizzi" e panari intenti ad assaggiare i prodotti salentini, molto
graditi anche ai visitatori.
Nel Borgo sotto il castello molti fuochi hanno perso la
vivacità ma una bettola all’aperto rallegra tutti.
A Specchia l’ulivo è sovrano per cui non poteva mancare
l’intagliatore del suo legno che ritrovo in un rustico spazio fra oggetti
finiti o abbozzati.
Sacchi abbandonati, balle di paglia e tracce di fieno
portano sino alla vigna della piazza. I viticci sono privi di pampini e fra i
filari è cresciuta l’erba, che piacerebbe tanto a tutte le pecorelle dei
recinti disseminati nel percorso. Le pale del fico d’india mettono in risalto
le volute dei vitigni nostrani. Gli alberelli ai bordi rendono molto realistica
una scena curata e perfezionata edizione dopo edizione.
L’eco dei bagordi della casa di Erode si ode da lontano. Qui
danze, luci e lustrini ricordano l’opulenza che non ha controllo. Bene
interpretata, nei contenuti poco spirituali, la scena, nel complesso, è molto
caratterizzata.
Nell’aia situata nella piazza, il cavallo pare gradire il
fieno posto nel calesse. Pur non somigliando ai cavalli che erano allevati dal
mio babbo, riesce ugualmente a ricordarmi le mie cavalcate, alcune volte,
spericolate.
Una luminosa stella cometa mi conduce nell’atrio del
castello. Qui faccio la fila e osservo i fuochi vivaci attorniati da bambini
figuranti.
Noto una scena con tronchi che fungono da sgabello e tanto lirismo
di gioia si avverte intorno.
Giunta al cospetto della sacra famiglia, composta e semplice,
sistemata fra cumuli di paglia, che hanno lasciato molte tracce sul pavimento.
Mi soffermo a osservare l’ambiente che, nella povertà evidente, esalta la
Natività che sicuramente è somigliante a quella avvenuta in un luogo spartano e
povero quale poteva essere Betlemme. Nella scena molti bambini e angioletti si
muovono con spontaneità creando un clima religioso di famiglia. La scena è
molto bella e descrive molto bene l’atmosfera divina.
Rincontro pastori e zampognari che contribuiscono a rendere
questo “Presepe Vivente” una rappresentazione di movimentata gioiosa
spiritualità.
I Re Magi all’orizzonte si apprestano. Hanno seguito la
stella di fede che ha animato gli interpreti del Presepe vivente di Specchia.
Sono giunti, regali e maestosi nei loro ricchi mantelli. Onorano il Bambinello
e presentano i doni. Avverto la malinconia di una festa conclusa in un bacio di
speranza di pace, serenità e lavoro. Tutti s’inchinano davanti al Gesù della
chiesa porto premurosamente da Don Antonio De Giorgi.
Devo dire che in questa in edizione del Presepe Vivente mi
ha impressionato favorevolmente il clima di povertà, che farebbe contento pure
papa Francesco che non si stanca di ricordare che Gesù non è nato in una
reggia, e la recitazione puntuale.
Le scene sono state tutte all’altezza del fine. Il percorso
mi è piaciuto per gli scorci e gli ambienti che sono stati inseriti.
Voglio fare un complimento a Rita e a tutti gli
organizzatori che fra bambini che dovevano figurare Gesù ammalati, vandali e
incendi sono riusciti, anche nell’emergenza, a dare esempio di grande
sensibilità e competenza organizzativa. Quest’edizione mi convince ancora di
più che il Borgo Antico di Specchia è proprio il luogo ideale per queste
rappresentazioni. I palazzi, le corti, le antiche tecniche delle costruzioni lo
caratterizzano talmente che non si potrebbe pensare a un luogo migliore per il
Presepe Vivente. 
Specchia gennaio 2015                                                       
Federica Murgia






















































mercoledì 5 novembre 2014

FINISSAGE di LUIGI DE GIOVANNI

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FINISSAGE









Studio “Sutta Le Capanne Du Ripa”, Specchia (LE)
Piazza del Popolo, 21 A Specchia (LE)

“UOMO DEL MIO TEMPO” omaggio a Salvatore Quasimodo di Luigi
De Giovanni
Finissage con
disinstallazione: sabato 8 novembre ore 18,00
Inaugurata l’11ottobre alle
ore 19,00 nello studio “Sutta le Capanne du Ripa” la mostra, con
installazione e performance di Luigi De Giovanni, accompagnata dal reading
di Santino Giangreco 
che ha recitato la poesiaUOMO DEL MIO
TEMPO” di Salvatore Quasimodo, chiude, con la disinstallazione,
sabato 8 novembre alle ore 18,00.
L’evento è stato curato dall’ Associazione culturale “e20cult” in
collaborazione con
“Il Raggio Verde edizioni”
Lecce e del comune di Specchia che ha concesso il patrocinio e l’uso gratuito
del Castello per la presentazione.
L’evento ha partecipato alla “Giornata del
Contemporaneo indetta da AMACI, giunta alla decima edizione”, è stato
presentato dal
Prof.
Antonio Penna, mentre il Dott. Maurizio Antonazzo ha presentato la serata.
L’allestimento è dell’Arch.
Stefania Branca 
Presentazione:
Luigi De Giovanni, continuando il suo percorso d’analisi dell’uomo, si
ritrova in sintonia con la poesia “Uomo del mio tempo” di Salvatore Quasimodo.
L’artista vede l’uomo sopraffatto dall’ambizione e ormai abituato alle
barbarie più crude fatte nella corsa alle scalate sociali: l’uomo, diventato
cieco e indifferente nei confronti dei più deboli, pronto a discriminare
socialmente i diversi e i non omologati a dei modelli precisi; assetato di
potere dall’egoismo, dall’arroganza, dall’ideologia che l’ha portato a smarrire
ogni rispetto dei fratelli, che ha dimenticato i principi morali e religiosi
che potevano impedirgli la violenza. All’artista, nella sua analisi, sovvengono
le impressioni spietate di guerra e di uccisioni per la supremazia con
l’annientamento di persone e popoli, spesso in fuga dalla loro terra o vinti da
fame e terrore. Immagini di morte che gli hanno fatto ritornare alla memoria le
dure parole e il monito della poesia “Uomo del mio Tempo” di Salvatore
Quasimodo.
L’evento sarà caratterizzato da un’installazione con performance
continua nello Studio “Sutta Le Capanne Du Ripa” a Specchia in Piazza del
Popolo, 21A e nel portico antiastante. I due ambienti verranno ricoperti di
materiali inizialmente bianchi, sopra vi saranno dei cumuli di carte
accartocciate con schizzi del colore
del sangue. Le opere saranno dei sudari di morte che penderanno dal
soffitto gocciolando, “sangue” di dolore senza più grido, su una tela, che
raccoglierà il dripping delle gocce, che diventerà “reliquia” nell’opera
“Uomo”. Occhi attoniti e miti guarderanno partecipando, nell’abitudine
all’orrore, visto quotidianamente attraverso i media, in una performance
collettiva.  Federica Murgia
Poesia
di Salvatore Quasimodo
Uomo
del mio tempo

Sei ancora
quello della pietra e della fionda,
uomo del
mio tempo. Eri nella carlinga,
con le ali
maligne, le meridiane di morte,
t'ho
visto- dentro il carro di fuoco, alle forche,
alle ruote
di tortura. T'ho visto: eri tu,
con la tua
scienza esatta persuasa allo sterminio,
senza
amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora,
come
sempre, come uccisero i padri, come uccisero,
gli
animali che ti videro per la prima volta.
E questo
sangue odora come nel giorno
quando il
fratello disse all'altro fratello:
"Andiamo
ai campi". E quell'eco fredda, tenace,
è giunta
fino a te, dentro la tua giornata.
Dimenticate,
o figli, le nuvole di sangue
salite
dalla terra, dimenticate i padri:
le loro
tombe affondano nella cenere,
gli
uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore.



La lettura della poesia “Uomo del mio tempo” di Salvatore Quasimodo ha
scandito il susseguirsi dell’atto performativo.
Per informazioni:
Cell:
329 2370646 








































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