DE GIOVANNI LUIGI a FIRENZE

DE GIOVANNI LUIGI a FIRENZE
La galleria Mentana di Firenze, in prossimità delle feste natalizie, come ogni anno, il giorno 16 dicembre 2023 dalle ore 17,00 alle ore 20.00 terrà l’opening di “Orizzonti Contigui” Rassegna di Artisti Internazionali che animerà lo spazio sito nel cuore di Firenze, in via della Mosca, 5. Orizzonti Contigui Attraverso le opere in mostra è possibile immergersi nelle descrizioni di pensieri, idee e sensazioni che danno luogo al mondo degli artisti presenti che, nella realizzazione delle opere, hanno trovano l’occasione per avventurarsi nelle sfaccettature della natura fatta di paesaggi e di atmosfere, per ritrovarsi nel mondo della fantasia o nelle problematiche dei percorsi dell’uomo, fino ad attraversare riflessioni o sogni che muovono dall’Io o dalla religiosità. Colori, pennellata e percorsi capaci di trasmettere il mondo della bellezza e delle contraddizioni dell’uomo che è sempre alla ricerca di quei valori che danno senso alle opere di questa bellissima rassegna artistica. L’evento sarà anche occasione per scambiarci gli Auguri di Natale. Artisti presenti in Mostra: Eva Breitfuss - Audrey Traini - Lis Engel – Giancarlo Cerri – Aldehy – Bianca Vivarelli – Krasimir S. Marinov – Eileen Herres – Valerio Tanini – Tina Hliblom-thibblin - Camilla Vavik Pedersen – Patrizia Pepe – Luigi De Giovanni – Salvatore Magazzini – Anna Lapshinova Galleria d’Arte Mentana Arte Moderna e Contemporanea Via della Mosca, 5r
50122 Firenze (Italia)
Telefono/Fax: +39 055 211985
Cellulare: +39 335 1207156
Email: galleriamentana@galleriamentana.it
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lunedì 12 gennaio 2015

Natale a Specchia: sensazioni di una spettatrice

Home - De Giovanni Luigi pittore contemporaneo - Creazioni d'arte - Cagliari


Natale a Specchia: sensazioni di una spettatrice







Il Comune di Specchia, come ogni anno, ha organizzato con
grande sensibilità il “Natale nel Borgo”, mirando, oltre che a un impegno di
rinnovata fede, alla promozione culturale e turistica del paese, per questo ha
accolto le proposte che gli venivano presentate dalle associazioni.
La sera del 24 dicembre 2014, com’è ormai consuetudine,
nella piazza del Popolo nel grandissimo braciere, si è accesa la catasta di
legna, per dare il via alla “focaredda”, antica usanza che, metaforicamente,
penso intendesse scaldare il Bambinello del presepe e realmente servisse alla
povera gente per vincere il freddo sferzante della piazza e per portare a casa
un po’ di brace per dare calore non solo di rinnovata festa.
Anche quest’anno le fiamme si sono levate altissime
accompagnate da uno scoppiettio che manda scintille che s’innalzano in cielo
come stelle. Dallo spigolo del palazzo Risolo si ha modo di notare che le
fiamme si dividono in due alte lingue che lasciano intravvedere il campanile
della chiesa che, con l’irregolarità e il tremolio delle luci del fuoco, sa di
magico. Sì. Il clima è proprio natalizio.
Le persone che affollano la piazza si scaldano e mangiano le
gustosissime “pittule”, preparate negli stand - cucina.
Nel castello già dal giorno 21 dicembre la mostra “Natale
d’Artista” rappresenta l’ideale concezione della Natività con le “Personali in
collettiva” di: Ute Bruno - Luigi De
Giovanni - Laura Petracca - Roberto Russo - Ada Scupola - Giovanni Scupola.
Specchia pure quest’anno ha interpretato il Natale con
grande prova di fede e sacrificio, i presepi si sono moltiplicati. Infatti,
oltre al “Presepe vivente” che è quello che suscita maggiore interesse da parte
dei cittadini e dei turisti, ne sono stati approntati nelle chiese, nel
castello e persino nei bar.
Molto significativi,
per la purezza dei sentimenti racchiusi nella poesia dell’infanzia, sono i
disegni fatti dai bambini seguiti, nei lavori, da Suor Rita dell’ordine delle
Suore Ravasco. I fogli, organizzati e allestiti in pannelli dall’
Arch.
Stefania Branca, sono capaci di raccontare il vero senso della fede e dei sogni
di pace e amore dei bambini di tutto il mondo.
Il Presepe dei
giovani dell'Associazione “Bambin Gesù”
ha anticipato la festa con una ricostruzione di ambiente quasi boschivo che,
subito, malinconicamente, mi ha riportato a Seulo, il mio paese sui monti del
Massiccio del Gennargentu, ai suoi boschi e al muschio che veniva usato in
grande quantità nel presepe della Chiesa della Beata Vergine. Istintivamente,
ho subito unito i ricordi dei miei sogni imbiancati da neve vera che, quasi per
miracolo, cadeva, a fiocchi copiosi, illuminando ben oltre l’orizzonte
nell’inverno di Barbagia, rendendo il paese stesso presepe. Ricordo che molto
in anticipo si andava a raccogliere il muschio, spesso ricco di ombelichi di
venere, profumato di bosco, le cortecce che si staccavano dai vecchi alberi, i
rami di agrifoglio ricchi di drupe rosse e i bellissimi rami di tasso arrossati
dagli arilli che, benché fronde d’albero della morte, riuscivano a colorare di
gioia il mio Natale d’allora.
Le statuine di Maria e Giuseppe e del Bambinello erano
bellissime. Non mancavano i pastori con i loro armenti, i greggi che
ricordavano i gusti di tempi antichi vissuti con orgoglio anche oggi. Il mio
presepe dell’anima, quello di Seulo, era povero ma ricco di poesia e tradizione
conservata con amore e fede.
Ho avuto modo di notare che i giovani si sono impegnati in
questi anni per conservare con cura la memoria del passato e rinnovare un rito
di fede e di calore di famiglia.
Forse per nostalgia non posso far a meno di ricordare Seulo
dove lo scorso anno venne allestito un presepe all’aperto, povero come
scenografia ma ricchissimo come contenuti. La capanna era accuratamente isolata
dalle intemperie, tenuto conto che lì non mancano neve e ghiaccio. La
mangiatoia riempita di paglia, fu subito adocchiata da un bel gattino dorato
molto infreddolito, che la scelse come giaciglio prima che vi venisse sistemato
il bambinello. L’evento diventò subito virale, attrazione turistica per le tante
foto fatte al gattino e per la loro diffusione sui media, venne salutato con
gioia, dai seulesi molto divertiti, e come un bel segno dall’alto: bisogna
sempre curarsi di chi sente freddo e di chi ha fame, di chi soffre o di chi non
può manifestare nessun segno di fede cristiana. È vero il mio paese innevato,
anche con il gatto nella mangiatoia o le goliardie giovanili, sa proprio di
Natale.
Molto interessante e ricco di spiritualità ho trovato il presepe
realizzato dai ragazzi di Ruffano, illuminato dai “soliti” fari prestati da
Tommaso Vincenti, che con pochi mezzi e molto amore hanno creato statuine in
carta pesta vestite con tessuti di recupero, cielo in raso blu e stelle in
cotton fioc. È stato bellissimo vederli emozionati e impegnati nel fare
qualcosa che dava loro gioia e a noi il senso del Natale vissuto nel modo
migliore.
Un suggestivo presepe, preparato dai ragazzi dell’ACR nella
Chiesa Madre, mostra l’attaccamento, delle persone del territorio, all’antica
tradizione della coltivazione dell’ulivo e della produzione dell’olio. Questi
ragazzi usando gomitoli di corda hanno realizzato tutti i personaggi, comprese
le pecorelle. Il tetto è stato fatto con i fiscoli (intrecci di corda, che
servivano nell’antica produzione dell’olio d’oliva) e tutta la scenografia,
inclusi gli sfondi e le quinte, con dei deliziosi “cannizzi” (intrecci di canne
che servivano per seccare al sole fichi, pomodori e tanti altri prodotti della
terra) mentre i sacchi di juta costruivano colline e pianure di fatica.
Nel Presepe della chiesa di Sant’Antonio non manca nessun
personaggio. Costruito con una cura assoluta, ha voluto rappresentare i climi
illuminati da luci di stelle. Elogia il lavoro, la terra, non sempre rispettata,
che ci dona copiosi frutti. Percorsi di pietra conducono alla salvezza divina.
Fra castelli merlati il bambinello nasce nella rustica stalla, dalla porta
sconnessa aperta, con il calore dell’amore divino. È un presepe ricco di
personaggi che si affannano nelle fatiche della vita. È fatto con cura, non
mancano i ruscelli, le montagne percorse da impervi e tortuosi tratturi, gli
anfratti segreti, né la sabbia ricordo di terre d’oriente. Anche qui mi
sovviene Seulo, i suoi scoscesi sassosi sentieri allietati dai rintocchi dei
campanacci, che suonano note diverse per distinguere i greggi o gli armenti
richiamati dai fischi dei pastori che spesso si distraggono zufolando.
Nel bar “Le mille voglie” ha preso forma il presepe del
territorio salentino dove pagliare, con diverse caratteristiche, e muretti a
secco creano l’atmosfera giusta. Qui è stato curato, soprattutto la
verosimiglianza con il Salento. Fra i muretti e le pietraie che lasciano spazio
al verde della vegetazione salentina c’è il muschio con alcuni ombelichi di
venere, per me sempre “cappeddus de muru” che tanto mi piacciono e che da
bambina usavo come piatti per la bambola. La stalla con la sacra famiglia è una
sorta di grotta in parte diroccata e per questo molto efficace nella
rappresentazione della Natività. Non mancano gli ulivi e l’aia circolare, dove
un somarello è impegnato nella trebbiatura. Si è un presepe calato in altri
tempi ma efficace nella rappresentazione delle intenzioni.
Sicuramente qui a Specchia sono stati allestiti molti altri
presepi, soprattutto nelle case, ma questi sono quelli aperti al pubblico che
io ho potuto visitare e apprezzare.
Il clou delle
manifestazioni del Natale è il “Presepe Vivente”
curato dall’Associazione Culturale Sportiva “Eugenia
Ravasco” Onlus insieme al Comune di Specchia e alla Parrocchia “Presentazione
della Vergine Maria” di Specchia. Il compito più impegnativo è, comunque,
dell’Associazione Culturale Sportiva Eugenia Ravasco che per tempo studia e
prepara le suggestioni del Presepe scegliendo il percorso, curando
l’allestimento delle scene e la rappresentazione
. Impegno, quest’anno,
triplicato a causa delle bravate di alcune persone che hanno pensato bene di
creare disagio rovinando alcune opere di scenografia. Ciò nonostante il giorno
25 dicembre alle ore 17 tutto è pronto.
Nella piazza antistante alla porta di Betlemme lo svolgersi
del rituale prevede che debbano prendere la parola le autorità civili e
religiose, per i discorsi inaugurali.
A parte un lieve ritardo del vescovo, che sicuramente ha
avuto il suo bel daffare celebrando l'inizio dei percorsi di più Presepi nelle
parrocchie da lui amministrate, tutto è proceduto senza intoppi.
Dalla via Roma si sente l’imperio dei comandi impartiti dal
comandante della legione romana che si appresta all’ingresso in Betlemme.
Sfilano eretti, alcuni con le armature che sembrano a placche, l’elmo che
contribuisce a renderli ancora più minacciosi, lo scudo convesso tenuto con
forza, il giavellotto e il gladio. Altri con lo scudo, probabilmente in duro
cuoio, procedono, inquadrati e precisi nei movimenti, eseguendo gli ordini con accuratezza.
Un soldato tiene al guinzaglio un bellissimo cane che incede con il capo chino,
non ha nulla di bellicoso ma ricorda come dovevano essere terribili i romani
nelle operazioni di conquista. Alcuni soldati battono su dei tamburi dando
ritmo alla formazione. Vestite con tuniche e mantelli seguono le matrone dalle
acconciature elaborate, le belle ragazze, i giovani e i bambini che daranno
significato alla ricostruzione del tempo.
Nella piazza degli Artisti i figuranti si apprestano a
disporsi nelle postazioni assegnate. C’è freddo ma tutti sembrano non sentirlo.
Il gruppo degli “Agorà canti antichi” è pronto per ricordare l’antica musica
salentina. Oltrepasso la porta che porta a Betlemme e lo scenario che mi
attende è emozionante. Tanti i piccoli “romani” attizzano i fuochi e si
scaldano. Sui tavoli piatti e scodelle sembra che attendano i commensali. Nella
casa del censimento predomina il colore rosso, gli arredamenti sono importanti.
Noto che vi sono delle armature, su trespoli o poggiate su bauli da viaggio,
pronte a essere indossate: si ha proprio l’idea d’essere in un luogo di
frontiera. Si fa la fila per essere censiti. Anch’io non mi sottraggo al dovere
e mi appresto a scrivere i miei dati. Il fatto d’essere ospite in questo bel
Borgo non mi fa sentire transfuga poiché ho la libertà di tornare a casa quando
lo desidero. Ben diversa è la situazione dei clandestini che muoiono a migliaia
nel Mediterraneo inseguendo un sogno di pace e benessere e, purtroppo, spesso
finiscono in ingranaggi della disonestà. Dopo mi avvio all’ingresso vero e
proprio, dove è gradita una piccolissima offerta, utile a predisporre il minimo
indispensabile per la prossima edizione. Giungo alla bottega del “conzalimmi”,
professione seppellita dal consumismo, intento, con una sorta di trapano, a far
dei buchi che gli serviranno a rimettere insieme i pezzi di un piatto rotto.
Questa bottega, priva d’ogni segno di benessere, mi fa pensare al nostro tempo
e a quanti piatti, scodelle finiscono nella spazzatura in un anno, per
lamentarci poi del costo dello smaltimento dei rifiuti. È proprio vero noi non
pensiamo mai al poco che serviva in passato per vivere felici!
“Ecco la Vergine che concepisce e dà alla luce un figlio e
gli porrà il nome di Emmanuele” (Isaia 7.14). - Recita così il cartello
all’ingresso della scena dell’Annunciazione. Mi fa subito pensare ai tempi del
fatto, ai costumi d’allora e alla giovanissima e immensa Maria che assunse la
sua missione biblica scevra dai trastulli della sua età. Mentalmente faccio un
paragone con la vita d’oggi soprattutto con la libertà che hanno giovani
occidentali, incapaci di sacrifici e rinunce. Penso pure alla prigione, non
solo fisica, che, ancora oggi, vivono le donne che in certe società non hanno
diritti e vengono uccise solo per un sospetto di “disonore”, che è, purtroppo,
il loro dolore d’esistere. Lo spazio dell’Annunciazione complessivamente mi è
piaciuto tantissimo sia per l’essenzialità dell’ambiente sia per l’interpretazione
di Maria inginocchiata e degli angioletti dalle mani giunte: tutto lascia
pensare alla spiritualità del fatto raccontato.
Mi avvio alla sinagoga, dove i sacerdoti sono intenti alle
letture. Delle piccole candele poggiate sul tavolo, raccontano con efficacia la
ritualità, anche in assenza del candelabro a sette braccia simbolo di maggiore
opulenza.
Mi perdo nel mondo delle tessitrici, delle ricamatrici e del
filet. Qui noto i licci, le rocche, i tessuti di vari colori legati alla
tradizione, le matasse, gli arcolai e un bellissimo telaio che mentalmente lego
alla sala della tessitura dei miei nonni. Ricamatrici intagliano i tessuti con
le loro creazioni, mentre una esegue la rete da fissare sul telaio da filet:
m'incanto e chiedo a tutte spiegazioni ammirando i manufatti meravigliosi. I
guanti fatti con il filet attirano particolarmente la mia attenzione. Penso
come mai mia sorella Cate, professoressa in pensione e maestra nei ricami se
pur ancora apprendista nel punto margarita, non ne abbia mai fatto un paio
così! Questo mi fa pensare che tutti i saperi antichi bisogna conservarli con
amore e tramandarli. Noto una paziente anziana che avvolge il filo come se
avvolgesse i ricordi di una vita. La dolcezza meravigliosa che scaturisce da
lei fa dimenticare i segni di sacrifici e di rinunce evidenti nelle tracce del
tempo delle sue mani e del suo viso.
Nell’antico "lavaturu" di pietra, pila, si
affanna, con le mani immerse nell’acqua gelida, la lavandaia mentre nel
"cofanu", lavatrice d’altri tempi, si fa la lisciva. Con il ferro a
carbone la stiratrice stira i panni tenuti con cura in un cesto.  Ricordo il passato, le madri della mia
zona che portavano in equilibrio in testa il catino con i panni per andare ai
ruscelli dove, nelle limpide piscine, facevano il bucato cantando le canzoni in
sardo; come se lavare fosse una gioia senza fatica. Sciorinavano poi il bucato
nei cespugli profumati e tornavano a casa portando tracce di fiori e arbusti.
Nelle giornate di sole invernali si recavano nelle sorgenti tiepide e stendevano
i panni negli spogli cespugli per farli gocciolare poi venivano disposti vicino
al cammino: avverto ancora l’odore di fumo camuffato poi con mazzi di lavanda.
Le giovani mamme in gruppo, spesso portavano in braccio i bimbi più piccoli,
che avrebbero dormito dentro il catino più grande al suono dello scorrere
dell’acqua, mentre i più grandi trotterellavano al loro fianco facendo un mare
di domande o cantando a gran voce.
Al lume di candela, in un’atmosfera molto colorata, alcune adolescenti
danno forma a presine e antiche bamboline. Ho rivisto le mie nipoti che ai
vestiti di bambola mettevano bottoni grandi che sbordavano dal corpo stesso
delle bambole!
Gli scribi, i sapienti dell’antichità, stilano o leggono i
loro documenti scritti su rotoli o tavolette. La loro precisione recitativa non
è stata distratta, dai rumori della via affollata, neanche per un attimo.
Un ambiente che mi è molto familiare è quello della
lavorazione del miele. La smielatura non era un problema per i miei genitori
che, armati di soffietto e coltello speciale, allontanavano le api con
l’intenso fumo, prodotto da arbusti idonei. Mi vengono in mente i favi
grondanti di miele profumato e la mia curiosità d’assaggiarlo, per scoprirne il
gusto, che mi portava subito a prenderne un pezzo masticandolo sino a che non
rimaneva che la cera: primordio delle mie gomme da masticare, il ricordo mi fa
sentire ancora il sapore. Amavo e amo moltissimo, soprattutto, il miele amaro!
Nella penombra m’imbatto con le pecorelle chiuse in un
recinto che consente d’osservarle da vicino. Alcuni bimbi attratti dalla loro
presenza cercano di accarezzarle ma loro intimorite da tanto via vai
indietreggiano nascondendosi ritmicamente una dietro all’altra.
Qui, come sempre, non mancano gli esperti della lavorazione
della pietra.
Sono attratta dalla lavorazione dei filati, dove alcune
persone, vicine al fuoco, districano la lana contenuta in sacchi di juta
grezza, altre la pettinano. Poggiate, noto delle conocchie ma non vedo
filatrici. A Seulo la mia prozia Totonia avrebbe completato l’opera con la
filatura che era il suo passatempo preferito e che continuava a fare anche
mentre ci raccontava le sue storie.
Non posso rimanere indifferente davanti alle creazioni con i
piccoli rotoli di carta e sono sorpresa dalla maestria con cui vengono fatti,
in carta pesta, i presepi con tutti i personaggi e le statuine. Mi sorprende
“il mondo tra le mani” grande opera sempre in cartapesta.
Nella corte che porta al forno molta legna attende d’essere
bruciata per la preparazione di pane e dolci. Entro e mi ritrovo in un ambiente
familiare, i profumi sono simili a quelli che avvertivo dai nonni nella mia
infanzia. Il fornaio attizza il fuoco mentre sul tavolo sono ormai lievitate le
palline di pasta che daranno luogo alle gustosissime "frise" locali.
Nella madia due ragazze impastano con cura la farina unita
all’acqua e al lievito. Più avanti è pronto l’impasto per le
"pittule", evidente anche nelle maniche di solerti lavoranti.
La macinatura del grano è fatta con un’antica macina in
pietra, manovrata da una giovane signora. La farina fuoriesce da una caditoia e
finisce dentro un sacco bianco a trame strette. La scena è d’altri tempi! Con
setacci e crivelli, dando dei piccoli colpi, alcune bimbe, separano la farina.
Tutto sa d’antico! Questa figurazione è di una poesia malinconica struggente.
Qui, mentalmente, riesco a sistemare i genitori, i nonni, la bisnonna: noi
piccoli, fratelli e cugini, che avevamo sempre in qualche modo le mani nella
farina o nel grano che scivolando dai nostri pugni chiusi cadeva a fontana nei
cestini lasciandoci una sensazione gradevolissima, come penso abbia il bimbo
che cerne il grano nella scena. Ci veniva sempre dato un po’ d’impasto per le
nostre pagnotte creative che cercavano d’imitare “su pani pintau” delle feste.
La casa di Elisabetta, dove è ricevuta Maria, è verosimile
per l’arredamento e per la ricostruzione coerente e benché povera sa di
elegante. Un tavolo, segnato da un uso continuo che si perde oltre il ricordo,
esalta suppellettili senza orpelli. L’essenzialità mi colpisce, come gli
strumenti da lavoro che mettono a nudo le privazioni e il loro passaggio da
generazione in generazioni. Le figuranti sono molto calate nelle parti tanto
che riescono a trasmettere l’idea di una visita molto gradita.
Spostandomi mi ritrovo in una bottega, dove sono esposti i
manufatti in pietra.
Arrivo dal bottaio “conzautti” e mi rendo conto che è
proprio ben rappresentato. Infatti, l’abbigliamento e l’aspetto fisico lo
rendono molto appropriato. Nella penombra appare sorridente come può essere una
persona che vive fra le botti e pensa a quando saranno riempite dal buon vino
salentino.
Ecco un’altra staccionata con le pecorelle che consumano il
pasto serale. Stranamente qui non sono attorniate dai bimbi curiosi!
Nella locanda c’è un grande affollamento di buongustai che
assaggiano i gustosissimi prodotti locali. Più in là i canestrini, per
gocciolare, sono disposti in fila e dentro vi viene versata la ricotta ancora
calda. In un’altra stanza trovo le massaie che preparano orecchiette,
minchiareddi e sagne torte. In molti si allontanano con sporte ricolme,
pregustando i buoni prodotti che cucineranno nelle loro case.
Noto la presenza di antichi strumenti, usati dal maestro con
competenza, nella falegnameria: anche qui la scena è curata nei minimi
dettagli.
Mi stupisce l’intreccio che dà luogo ai cestini. All’opera
una giovane signora che appare molto esperta e precisa. In questo laboratorio,
che mi suggerisce tempi passati, sono colpita da una piccola borsa con
coperchio, che, stranamente, somiglia al cestino per la merenda che usavo
quando andavo all’asilo.
Come si conviene per un grande evento la sala del matrimonio
di Maria e Giuseppe ha un’aria di solennità ma conserva un’elegante sobrietà:
nulla è eccessivo. Chi è seduto al desco si contenta di poche cose quali
stoviglie in terracotta, ampolle in metallo un po’ di pane: tutto è giusto e
non stride con la rappresentazione. Sembra proprio che si sia seguita la
scritta che si trova all’ingresso.
“Il matrimonio tra Maria e Giuseppe dovette essere molto semplice.
Quando la famiglia di Maria raggiunse un accordo con Giuseppe si celebrò lo
sposalizio. Trascorso un certo tempo, Giuseppe condusse Maria nella propria
casa secondo la legge di Mosè”.
Incontra dei meravigliosi angioletti con la fascia del
“Gloria”. Mi soffermo. Sono così belli da suscitare enorme emozione.
I pastorelli, con le loro gabbiette, sostano o muovano quasi
seguendo il ritmo delle zampogne suonate dai pastori. Qui la musica dà la
sensazione di trovarsi realmente nel cuore della Natività: nella mia terra
accompagnata dalle melodie delle “Launeddas”.
I richiami del mercato sono udibili da lontano. Canestri di
profumato pane, cesti di frutta e verdura attirano i visitatori che fanno
capannello.
Intorno ardono i fuochi dove, spesso, si fermano anche i
visitatori per scaldarsi.
Incontro il recinto con le oche che non sembrano curarsi del
traffico di persone.
Le strade, del rinnovato percorso, sono illuminate da
piccole lanterne a candela, molto funzionali, in alcune zone ci sono dei lumini
dentro ciotole o dei fuochi che rendono il clima incantevole.
Dei battiti ritmici ci annunciano che nei pressi c’è un
fabbro. Osservo come si affanna pestando sull’incudine mentre con il soffietto
dà aria al fuoco per rendere incandescente il metallo da forgiare. Vedo che
l’ambiente è rustico e tutti gli utensili sono manuali e risalgono al periodo
in cui tutto era costruito manualmente e ritento prezioso.
Artigiani e artisti realizzano con diverse tecniche i loro
manufatti creando curiosità fra i visitatori avvezzi solo agli oggetti finiti.
Le caldarroste e il loro profumo invitante mi riportano alla
mia casa natale dove d’inverno, quasi tutte le sere, si facevano saltare le
castagne in una padella con i buchi, era un rito che scaldava le mani e ci
lasciava in bocca un gusto indescrivibile. Ciò che mi piaceva maggiormente
erano i racconti dei genitori e dei nonni che così ci intrattenevano senza
farci annoiare e senza televisore.
Non posso passare dritta davanti alla bottega dei panari e
dei cannizzi. Le creazioni dei maestri sono proprio belle e penso, dopo averne
immaginato l’uso, che nelle case moderne potrebbero essere esteticamente
interessanti come porta oggetti o per mille altre funzioni.
Fra le ricamatrici, che non perdono tempo, trovo tutta il fascino
e l’eleganza delle cose fatte a mano. Qui macramè, punto antico, chiacchierino,
uncinetto e tombolo non sono un mistero, sicuramente le mie sorelle ci
avrebbero passato l’intera serata. Io, benché apprezzi tutti i ricami, quando
mi trovo in mano l’imparaticcio, ricordo il buco che feci cercando d’imparare
il punto turco: un disastro! 
Nel banchetto del mercato all’aperto è in bella mostra tanta
frutta e verdura “casalina” che non passa inosservata alle massaie curiose.
Il calzolaio sta in una stanzetta spoglia, con lui un
apprendista molto concentrato nell’imparare. Le scarpe da riparare sono proprio
poche, perché poche erano in altri tempi quando moltissime persone avevano
trasformato la pelle dei piedi in suole e tomaie.
Che fila davanti al pane "rostutu"! Basta proprio
poco per riscoprire il gusto degli antichi sapori!
Rincontro gli “Agorà canti antichi” in un momento di
rilassamento. Hanno messo a riposo i tamburelli e la voce. Sono fra
"cannizzi" e panari intenti ad assaggiare i prodotti salentini, molto
graditi anche ai visitatori.
Nel Borgo sotto il castello molti fuochi hanno perso la
vivacità ma una bettola all’aperto rallegra tutti.
A Specchia l’ulivo è sovrano per cui non poteva mancare
l’intagliatore del suo legno che ritrovo in un rustico spazio fra oggetti
finiti o abbozzati.
Sacchi abbandonati, balle di paglia e tracce di fieno
portano sino alla vigna della piazza. I viticci sono privi di pampini e fra i
filari è cresciuta l’erba, che piacerebbe tanto a tutte le pecorelle dei
recinti disseminati nel percorso. Le pale del fico d’india mettono in risalto
le volute dei vitigni nostrani. Gli alberelli ai bordi rendono molto realistica
una scena curata e perfezionata edizione dopo edizione.
L’eco dei bagordi della casa di Erode si ode da lontano. Qui
danze, luci e lustrini ricordano l’opulenza che non ha controllo. Bene
interpretata, nei contenuti poco spirituali, la scena, nel complesso, è molto
caratterizzata.
Nell’aia situata nella piazza, il cavallo pare gradire il
fieno posto nel calesse. Pur non somigliando ai cavalli che erano allevati dal
mio babbo, riesce ugualmente a ricordarmi le mie cavalcate, alcune volte,
spericolate.
Una luminosa stella cometa mi conduce nell’atrio del
castello. Qui faccio la fila e osservo i fuochi vivaci attorniati da bambini
figuranti.
Noto una scena con tronchi che fungono da sgabello e tanto lirismo
di gioia si avverte intorno.
Giunta al cospetto della sacra famiglia, composta e semplice,
sistemata fra cumuli di paglia, che hanno lasciato molte tracce sul pavimento.
Mi soffermo a osservare l’ambiente che, nella povertà evidente, esalta la
Natività che sicuramente è somigliante a quella avvenuta in un luogo spartano e
povero quale poteva essere Betlemme. Nella scena molti bambini e angioletti si
muovono con spontaneità creando un clima religioso di famiglia. La scena è
molto bella e descrive molto bene l’atmosfera divina.
Rincontro pastori e zampognari che contribuiscono a rendere
questo “Presepe Vivente” una rappresentazione di movimentata gioiosa
spiritualità.
I Re Magi all’orizzonte si apprestano. Hanno seguito la
stella di fede che ha animato gli interpreti del Presepe vivente di Specchia.
Sono giunti, regali e maestosi nei loro ricchi mantelli. Onorano il Bambinello
e presentano i doni. Avverto la malinconia di una festa conclusa in un bacio di
speranza di pace, serenità e lavoro. Tutti s’inchinano davanti al Gesù della
chiesa porto premurosamente da Don Antonio De Giorgi.
Devo dire che in questa in edizione del Presepe Vivente mi
ha impressionato favorevolmente il clima di povertà, che farebbe contento pure
papa Francesco che non si stanca di ricordare che Gesù non è nato in una
reggia, e la recitazione puntuale.
Le scene sono state tutte all’altezza del fine. Il percorso
mi è piaciuto per gli scorci e gli ambienti che sono stati inseriti.
Voglio fare un complimento a Rita e a tutti gli
organizzatori che fra bambini che dovevano figurare Gesù ammalati, vandali e
incendi sono riusciti, anche nell’emergenza, a dare esempio di grande
sensibilità e competenza organizzativa. Quest’edizione mi convince ancora di
più che il Borgo Antico di Specchia è proprio il luogo ideale per queste
rappresentazioni. I palazzi, le corti, le antiche tecniche delle costruzioni lo
caratterizzano talmente che non si potrebbe pensare a un luogo migliore per il
Presepe Vivente. 
Specchia gennaio 2015                                                       
Federica Murgia






















































martedì 30 settembre 2014

Luigi De Giovanni “UOMO DEL MIO TEMPO” omaggio a Salvatore Quasimodo - De Giovanni Luigi pittore contemporaneo - Creazioni d'arte - Cagliari

Luigi De Giovanni “UOMO DEL MIO TEMPO” omaggio a Salvatore Quasimodo - De Giovanni Luigi pittore contemporaneo - Creazioni d'arte - Cagliari












Sutta le
Capanne du Ripa
Piazza del
Popolo, 21 A Specchia (LE)
Con il Patrocinio del comune di Specchia, l’Associazione Culturale “e20cult
e Il Raggio Verde edizioni” Lecce, presentano, “UOMO DEL MIO TEMPO:
omaggio a Salvatore Quasimodo” di Luigi De Giovanni. L’evento partecipa alla “Giornata
del Contemporaneo indetta da AMACI, giunta alla decima edizione”

Luigi De Giovanni
“UOMO DEL MIO TEMPO” omaggio
a Salvatore Quasimodo

Saluti da:
11 ottobre ore 18,00 inaugurazione nel Salone del Castello
Risolo
Saluti
da:
Rocco
Pagliara  -  Sindaco di Specchia
Giorgio
Biasco   -  Assessore alla Cultura
Prof. Antonio Penna -  (parlerà dell'omaggio di
Luigi De Giovanni a Quasimodo e della poesia "Uomo del mio
tempo") 
Dott. Maurizio Antonazzo - Giornalista - (presenta la
serata)
Arch. Stefania Branca – allestimento   

Federica Murgia - Presidente dell’Associazione Culturale “e20cult” sezione di Specchia

11ottobre ore 19,00  Sutta le Capanne du
Ripa: performance di Luigi De Giovanni  e reading di Santino
Giangreco 
che
reciterà la poesia “
UOMO DEL MIO
TEMPO” di Salvatore Quasimodo

Studio “Sutta Le Capanne Du
Ripa”, Specchia (LE), Piazza del Popolo, 21°
Apertura al pubblico sabato
11 ottobre 2014 dalle ore 10,00

Luigi De Giovanni,
continuando il suo percorso d’analisi dell’uomo, si ritrova in sintonia con la
poesia “Uomo del mio tempo” di Salvatore Quasimodo.
L’artista vede l’uomo
sopraffatto dall’ambizione e ormai abituato alle barbarie più crude fatte nella
corsa alle scalate sociali: l’uomo, diventato cieco e indifferente nei
confronti dei più deboli, pronto a discriminare socialmente i diversi e i non
omologati a dei modelli precisi; assetato di potere dall’egoismo,
dall’arroganza, dall’ideologia che l’ha portato a smarrire ogni rispetto dei
fratelli, che ha dimenticato i principi morali e religiosi che potevano
impedirgli la violenza. All’artista, nella sua analisi, sovvengono le
impressioni spietate di guerra e di uccisioni per la supremazia con
l’annientamento di persone e popoli, spesso in fuga dalla loro terra o vinti da
fame e terrore. Immagini di morte che gli hanno fatto ritornare alla memoria le
dure parole e il monito della poesia “Uomo del mio Tempo” di Salvatore
Quasimodo.
L’evento sarà caratterizzato
da un’installazione con performance continua nello Studio “Sutta Le Capanne Du
Ripa” a Specchia in Piazza del Popolo, 21A e nel portico antiastante. I due
ambienti verranno ricoperti di materiali inizialmente bianchi, sopra vi saranno
dei cumuli di carte accartocciate con schizzi del colore  del sangue. Le opere saranno dei sudari
di morte che penderanno dal soffitto gocciolando, “sangue” di dolore senza più
grido, su una tela, che raccoglierà il dripping delle gocce, che diventerà
“reliquia” nell’opera “Uomo”. Occhi attoniti e miti guarderanno partecipando, nell’abitudine
all’orrore, visto quotidianamente attraverso i media, in una performance
collettiva.
La lettura della poesia “Uomo
del mio tempo” di Salvatore Quasimodo scandirà il susseguirsi dell’atto
performativo.
Curato da: Associazione culturale “e20cult” in
collaborazione con
“Il Raggio Verde edizioni” Lecce, con la collaborazione del comune di
Specchia che ha concesso il patrocinio e l’uso gratuito del castello.
Opening: sabato 11 ottobre
2014 ore 18,00 presentazione evento al Castello Risolo in piazza del Popolo a
Specchia.
ore 19,00 Sutta le Capanne du Ripa: Performance
di Luigi De Giovanni  e reading di Santino Giangreco 
Sabato 11 ottobre 2013 dalle
ore 10:00 alle ore 21:00
Dal 12 al 20 ottobre 2014
dalle ore 17:00 alle 21:00
Per
informazioni:
Cell: -     3279583790  -  329 2370646
e.mail:
info@e20cult.it   -  e.mail:
lmfedeg@libero.it



























giovedì 17 luglio 2014

'Forme e colori dal Mediterraneo” Luigi De Giovanni a Tricase - De Giovanni Luigi pittore contemporaneo - Creazioni d'arte - Cagliari

'Forme e colori dal Mediterraneo” Luigi De Giovanni a Tricase - De Giovanni Luigi pittore contemporaneo - Creazioni d'arte - Cagliari

studio sutta le capanne du ripa specchia lecce





 Forme e colori dal Mediterraneo”

Dal 15 luglio al 31 agosto 2014 la collettiva d’arte “Forme e colori dal Mediterraneo”, vedrà esporre al piano nobile di Palazzo Gallone gli artisti Mimmo Camassa, Enzo De Giorgi, Luigi De Giovanni, Kristine Kvitka, Francesco Pasca, Andrea Ritrovato, Stefania Rizzo. Lorenzo Sparascio.
Nell’ottica di un recupero dell’edificio quale location espositiva – spiega l’assessore Sergio Fracasso – le sale di Palazzo Gallone ospiteranno nell’ambito del cartellone estivo promosso dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Tricase le opere di otto artisti e i diversi linguaggi dell’arte attraverso i quali ognuno di loro riesce a tradurre il personale sguardo sul mondo.
Dalle icone di Mimmo Camassa, capace di reinventare la grande tradizione iconografica antica per raccontare le storie e i martiri di Santi e Madonne, alle visioni oniriche firmate Enzo De Giorgi che riesce a trovare una chiave lirica per leggere la realtà anche quando si tratta di riaprire i libri di Storia e sfogliare tra le sue pagine più dolorose come la Shoah.

Dalle “tracce di ri€voluzione” di Luigi De Giovanni con l’indagine pittorica sui cambiamenti della società, partendo dagli anni della contestazione giovanile ad oggi, all’universo femminile raccontato da Kristine Kvitka. Sui luoghi del visibile e dell’intellegibile si interroga la pittura di Francesco Pasca con le sue creazioni al limite tra geometria e singlossia dove è labile il confine tra universo visivo e verbale. Alle nuove visioni del sacro di Andrea Ritrovato con i suoi simbolici giochi prospettici ai paesaggi poetici di Stefania Rizzo che diventano spazi cromatici per la sua personale poetica sulla riflessione e la memoria. Infine, i volti espressivi e intensi del giovane Lorenzo Sparascio che ricordano le cifre stilistiche del neorealismo italiano.

La mostra patrocinata e promossa dal Comune di Tricase in collaborazione con Il Raggio Verde edizioni, si potrà visitare tutti i giorni con ingresso libero dalle ore 20 alle ore 24.
Mimmo Camassa Nato a Bari nel 1964 Mimmo Camassa frequenta il Liceo Artistico e l’Accademia di Belle Arti. Affascinato dalla tradizione iconografica antica dell’età medioevale segue i corsi di Arte Sacra all’Istituto Santa Scolastica di Bari con Tony Bux. Nel 1986 inizia come “madonnaro” per poi dedicarsi alla pittura sacra organizzando mostre in Puglia e in Italia. Espone a Milano, Roma, Bologna, Ferrara ottenendo consensi e riconoscimenti tra i quali la lettera di ringraziamento dal Vaticano nel 2005 e l’invito a partecipare a “Dettagli d’autore” rubrica di Uno Mattina su Rai uno. Vive e ha un suo studio a Tricase. L’artista – scrive Donato Valli – ha raggiunto “un livello espressivo che associa all’incanto della tradizione iconografica la composta decorazione di un reinventato “liberty” con le sue caratteristiche di stilizzazione e di simbolo. Tutto converge in un istintivo decoro di sentimenti, da intendere come coscienza della propria dignità ed esaltazione di una fantasia governata dalla misura e dal sentimento di una profonda umanità”.
Enzo De Giorgi Nato a Nizza Monferrato, in provincia di Asti, da genitori salentini, Enzo De Giorgi vive e lavora nel Salento. La sua formazione artistica parte da Lecce, dove frequenta l’Istituto d’Arte e successivamente l’Accademia di Belle Arti, e si matura negli anni con le sue personali ricerche stilistiche in luoghi e incontri diversi. Dal 1996 divide la sua passione artistica con l’attività didattica svolta nel cuneese, nel bresciano e, infine, nel leccese dove tuttora insegna “Discipline Pittoriche” presso il Liceo Artistico di Lecce. La sua continua ricerca estetica lo porta a sperimentare tutti i linguaggi delle arti visive: fumetto, scenografia, scultura, decorazione, grafica, musica e video. Con la sua arte riesce a raccontare per immagini storie, in bilico tra mondo reale e onirico, che fluttuano leggere calate in atmosfere liriche e complesse in cui vale l’aforisma shakespeariano “Siamo fatti della stessa sostanza dei sogni”.
Luigi De Giovanni Nato a Specchia, dove ha un proprio atelier, Luigi De Giovanni vive ed opera tra il Salento e Cagliari. Dopo aver conseguito la maturità all’Istituto d’Arte di Poggiardo nel 1969 si trasferisce a Roma dove nel 1974 si diploma in Scenografia all’Accademia di Belle Arti iniziando una intensa attività artistica che lo porta ad esporre a New York, Tokyo, Bruxelles, Madrid, Gent, Ginevra, Parigi oltre che a Milano, Roma, Firenze, Venezia, Bologna…Nel 2012, con la curatela di Toti Carpentieri, ha esposto a Lecce il ciclo di opere “Tracce di rivoluzione”, lettura dei cambiamenti che hanno caratterizzato la società e i costumi dalla seconda metà del Novecento andando a sfogliare le pagine più dolorose della storia europea e italiana: le grandi guerre, la caduta del muro di Berlino, il ‘68, la crisi economica e politica dei nostri giorni. Nel dicembre 2012 a Specchia ha presentato l’antologica “In itinere. Visioni, segni e figure 1966 – 2012”. Nel 2013 con la mostra “Dialogo con la Natura. Oltre i 16:9” ha esposto a Brindisi, Mesagne, Tricase.
Kristine Kvitka è una pittrice di origine lettone, nata a Riga nel 1983, che attualmente vive e lavora tra Tricase(LE) e Riga(Lettonia). Ha iniziato la formazione artistica nel 1994, frequentando per due anni la Scuola Elementare di arti applicate a Riga (1994 – 1995), per poi proseguire il percorso formativo alla Jana Rozentala Rigas High Art School (1995 – 2003). La logica conseguenza del tipo di istruzione ottenuta al liceo è stata quella di frequentare l’Accademia di Belle Arti di Lettonia (2003 – 2010), con indirizzo Pittura. Durante il percorso educativo Kristine ha studiato per due volte in Italia all’Accademia di Belle Arti di Lecce (2006 e 2008). Nella sua carriera la pittrice ha fatto molte mostre personali, tra cui due in Italia, e ha partecipato a svariati eventi artistici (mostre collettive, plein air internazionali, festivali di arte, simposi) in diversi paesi europei. Le sue opere d’arte si trovano in molte collezione private in diversi paesi come Lettonia, Italia, Austria, Australia, Islanda, Germania , Regno Unito, Russia, ecc.

Telefono: (+39) 3884988428 – E-mail: kristinekvitka@inbox.lv
Francesco Pasca Nato a Sanarica (Lecce) nel 1946 Francesco Pasca vive ed opera a San Pietro in Lama (Le). Nelle Arti Visive partecipa dal 1963 con contaminazioni che spaziano dal neocostruttivismo all’informale e con performance gestuali e visive. Nel 1979, parallelamente all’adesione al Gruppo Granma, collabora al Manifesto della Singlossia voluto dalla semiologa Rossana Apicella e alle iniziative dette della stagione post-poetica visiva. Si dedica alla scrittura, alla pittura, ai linguaggi multimediali. Partendo dall’assunto longhiano “L’arte non è imitazione della realtà, ma interpretazione individuale di essa” Francesco Pasca elabora figurazioni, rigorosamente geometriche “contaminate” da cifre e lettere che traducono il suo personale sguardo sulla realtà. Nelle sue opere convivono proporzioni matematiche, figure e simboli che trovano nella forza del colore il denominatore comune e, nella singlossia, la risultante dell’incontro tra linguaggio visivo e verbale. Nel 2013 ha esposto a Lecce con la mostra Palindromie – verso e senso nel nodo rovescio del colore.
Andrea Ritrovato nasce a Tricase il 2.10.64. L’interesse per il disegno ed un particolare amore per la pittura si rivelano al primo anno di Scuola Media. Artista successivamente frequenta l’Istituto d’Arte “G. Pellegrino” di Lecce conseguendo il diploma nel 1985. Nel capoluogo leccese Ritrovato frequenta poi l’Accademia di Belle Arti e consegue il diploma nel 1988. Nell’anno scolastico 1987-’88 rappresenta l’Accademia di lecce partecipando alla nota rassegna EXPO ART di Bari con l’opera “L’aquilone umano”. Nel 1990 insegna Discipline Pittoriche, per l’intero anno scolastico, nell’Istituto Magistrale “Colombini” di Piacenza. Andrea ha partecipato a diversi concorsi nazionali e a diverse estemporanee di pittura e negli ultimi anni ha allestito alcune mostre personali. Nel 1998 ha partecipato, con la galleria “Mentana” di Firenze, ad una mostra intitolata “Mia Arte” a Milano, nel pressi di Porta C. Magno. L’artista oltre alle sue particolari opere, esegue su commissione lavori di qualsiasi genere.
Stefania Rizzo Nata a Zug, in Svizzera, Stefania Rizzo si diploma nel 1987 all’Istituto Professionale Stilista di Moda. Disegna abiti da sposa e per diversi anni confeziona abiti su misura per donna. Ma nel silenzio dello spazio tra una cucitura e l’altra prende coscienza che quella non è la sua strada. Alcune vicissitudini la porteranno a “provare” a dipingere su tavole di legno dimenticate in qualche cantina…Ne segue l’apprezzamento da parte di cultori d’arte e questo le darà la spinta a proseguire. Dipinge da diversi anni e il suo linguaggio pittorico si concentra soprattutto “…sul paesaggio come emblema del sublime e dello stato d’animo e sullo spazio cosmico che diventa scenario delle composizioni

in cui l’artista porta agli estremi la sua poetica della riflessione e della memoria…” (Nicola Cesari, “Cromatismo e valore poetico in perfetta simbiosi nella pittura di Stefania Rizzo”). Attualmente la sua ricerca si concentra oltre che sul colore anche sui supporti di legno antico: sportelli, imposte, tavole per pressare il tabacco, su cui depone i propri linguaggi d’autore. Le sue opere si trovano in varie collezioni private in Italia e all’estero.

Esposizione permanente di pittura in via S.Demetrio 12, centro storico, Tricase, (LE) - Cell + 39 338- 99 81 748 STEFANIA RIZZO www.stefaniarizzo.com – e-mail: stefy_rizzo@virgilio.it
Lorenzo Sparascio

Giovane artista di grande sensibilità, Lorenzo Sparascio nasce a Tricase nel 1994, attraversa gli studi d’arte evidenziando subito un talento straordinario per un disegno, fortemente espressivo e viscerale, dai tratti immediati che ricordano cifre stilistiche del neo realismo italiano. Gli aspetti pittorici di questo giovane Artista – scrive il prof. Massimo Marangio – sono di un’efficacia fantastica, le cui risultanze estetiche abbracciano stili vicini a Freud, Guttuso e Vespignani.

L’Artista vive ed opera a Tricase.

mercoledì 7 maggio 2014

ARTISTI IN PERMANENZA: SALETTA MENTANA anche Luigi De Giovanni





studio sutta le capanne du ripa specchia lecce
Galleria d’arte Mentana Firenze
WWW.GALLERIAMENTANA.IT
galleriamentana@galleriamentana.it
P.zza Mentana 2/3 r- 50122 (FIRENZE)
Tel.  055.211985 - Fax. 055.2697769

Proposte Contemporanee

OPENING: Sabato 10 Maggio ore 18.00
10 MAGGIO- 4 GIUGNO2014
 
Artisti in permanenza: Saletta Mentana

Clara Polvani
Bianca Vivarelli
Annie Gheri
Francesca Coli
Rosario Bellante
Monica Pignat
Franco Lastraioli
Emilio Facchini
Luigi De Giovanni
Ugo Di Pasquantonio

"Partenze rosse" olio  cm 50x40 - Giampaolo Talani
"Vento d'autunno" tecnica mista cm 50x70 - Emilio Marino
"Ballerina"scultura in bronzo - Vittorio Tessaro
"Paesaggio" tecnica mista cm 35x50 - Salvatore Magazzini
"Una manana diferente " digitale cm 90x60 - Laura len
“ Paesaggio amico" olio cm 40x50 - Franco Lastraioli

I nostri orari:
11.00/13.00   -   16.30/19.30
domenica e lunedì mattina chiuso



sabato 29 marzo 2014

SPAZI APERTI


Galleria d’Arte Mentana
P.zza Mentana, 2/3R – 50122 Firenze
Presenta
Spazi Aperti
Rassegna d’arte contemporanea internazionale

Opening: sabato 5 aprile ore 18.00

5/29 aprile 2014

Art Director – Giovanna Laura Adreani

“Spazi aperti” è una mostra innovativa che vuole dare una panoramica  d’arte dal respiro internazionale.

Artisti:
Francesco Gibertoni Barca
Isabel Zuzarte
Mayis Mkhitaryan
Rosario Bellante
Alejandro Fernandez
Elisa Sestini
Antonella Serratore
Giammarco Amici

Info:
tel. +39 055211985


Orari Galleria: 11/13 – 16.30/19.30
Domenica e lunedì mattina chiuso

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